L’eredità eterna del castrismo si chiama Che Guevara

Darwin Pastorin, Huffington Post, 18 aprile 2018

Il castrismo non finirà. Non è terminato con la morte di Fidel e non tramonterà con il passaggio di consegne del fratello Raúl. Cuba, molto nel bene, e pochissimo nel male, appartiene, per molti di noi, a una realtà e a un immaginario. La realtà di una rivoluzione eroica, l’immaginario di una Utopia possibile da realizzare.

Quella piccola, titanica isola ha resistito, stoicamente, orgogliosamente, a numerosi tentativi di invasione, a un vergognoso embargo, di anni e anni e che tuttora permane, malgrado le mille promesse e premesse. Un’isola che non ha mai dichiarato guerra, che non ha mai bombardato nazioni sovrane con la scusa delle “armi chimiche o di distruzione di massa”, che non ha mai voluto esportare il proprio modello politico, così come hanno fatto e stanno facendo certe “democrazie”. I Castro, con Che Guevara e gli altri Barbudos della Sierra Maestra, hanno creato un luogo dove istruzione e sanità sono eccellenze. “Senza cultura non esiste libertà possibile”, era uno dei dogmi di Fidel.

Grazie ai Castro, nel 1959, Cuba ha smesso di essere la “sala giochi” degli USA, e ha posto fine alla dittatura, grottesca, di Fulgencio Batista. Questa è Storia: il resto è pettegolezzo.

Il castrismo, sopra tutto e tutti, ci lascia una delle più importanti eredità del Novecento: Ernesto Che Guevara, il simbolo eterno dell’uomo (l’Uomo Nuovo) che lotta contro le ingiustizie, contro la liberazione dei popoli, il capitalismo e l’imperialismo. Poteva vivere nel regno della borghesia, quel giovane medico argentino: ha preferito sposare la causa rivoluzionaria di Cuba dopo aver visto, con l’amico Alberto Granado, nell’epico viaggio sulla motocicletta “Poderosa”, le ferite aperte del Sudamerica, il triste e tragico destino dei poveri, degli emarginati e degli invisibili.

“Una volta ancora sento sotto i talloni il costato di Ronzinante: mi rimetto in cammino”, così scriveva il Che ai suoi genitori prima portare il proprio credo per terre insanguinate e oppresse e morire, tradito e solo, nella selva boliviana. Ecco il compito del rivoluzionario: rimettersi sempre in cammino. Non fermarsi mai. Guevara possedeva dentro il cuore, come un Bene prezioso e segreto, il senso di giustizia e di follia di un moderno Don Chisciotte.

La mia generazione deve al castrismo questo esempio, che nessun reazionario riuscirà mai a cancellare. Mi sovvengono le parole del narratore portoghese José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura nel 1998: “Che Guevara, se così si può dire, esisteva già prima di essere nato, Che Guevara, se così si può affermare, continua a esistere anche dopo morto. Perché Che Guevara è nello spirito umano. Ciò che spesso vive addormentato dentro di noi. Ciò che dobbiamo risvegliare per conoscere e per conoscerci, per unire l’umile passo di ognuno di noi sulla strada di tutti”. Non serve altro. Il castrismo ha donato al mondo il Che. Per questo non potrà finire, mai.

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