Italicum, le ragioni del nostro NO

Documento che i promotori del “Comitato contro l’Italicum per la democrazia” hanno lanciato in occasione della partenza della raccolta firme per il referendum (9 aprile 2016).

Il “Comitato contro l’Italicum per la democrazia è presieduto da Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale. Presidente onorario è l’ex Garante della privacy Stefano Rodotà, giurista, attuale docente del corso di Bioetica presso l’Università degli Studi di Torino. Alfiero Grandi, ex parlamentare per i Ds, sindacalista, è vicepresidente vicario e l’avvocato Silvia Manderino è la vicepresidente. Del comitato fanno parte molti altri giuristi, esponenti della politica, del sindacato, giornalisti. “Personalità – scrive l’associazione – accomunate dalla convinzione che sia necessario opporsi in ogni modo possibile alla torsione autoritaria che il governo Renzi sta imponendo al Paese”. Così nel comitato si trovano il procuratore della Repubblica a Torino Armando Spataro, i costituzionalisti Gaetano Azzariti e Felice Besostri, le giornaliste Sandra Bonsanti e Marina Boscaino. Il magistrato Domenico Gallo, ora alla Corte di Cassazione, fa parte del comitato esecutivo.

[Notizie tratte dallo Speciale del Il Fatto Quotidiano, 9 aprile 2016]

Adesso che la riforma elettorale (italicum) è stata trasformata in legge (L. 6 maggio 2015 n. 52) il discorso sul sistema elettorale del nostro Paese  non è chiuso.

Per l’italicum si è voluto procedere a tappe forzate, ricorrendo addirittura alla fiducia, come avvenne nel 1953 per la legge truffa, evidentemente per nascondere sotto l’asfalto del decisionismo governativo le scorie tossiche (per la democrazia) del nuovo sistema ed evitare ogni reale dibattito.

E tuttavia, proprio com’è accaduto per il porcellum, è l’insostenibilità costituzionale e politica del nuovo sistema che rende necessario riaprire il dibattito per far emergere le storture che devono essere corrette.

La legge elettorale, lungi dal rappresentare un’asettica tecnica di selezione della rappresentanza, è il principale strumento attraverso il quale si realizza un ordinamento rappresentativo e viene data concreta attuazione al principio supremo posto dall’art. 1 della Costituzione che statuisce: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”..

Orbene la Corte Costituzionale, con una pronuncia storica è intervenuta nel campo del diritto elettorale, riconoscendo che anche questo terreno squisitamente politico deve essere coerente con i principi costituzionali e con diritti politici del cittadino.

E’ da qui che bisogna partire per giudicare la sostenibilità del nuovo sistema elettorale.

La Corte costituzionale con la sentenza 1/2014 ha dichiarato incostituzionali due istituti della legge Calderoli:

  • le liste bloccate, riconoscendo ai cittadini elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentanti esprimendo (almeno) una preferenza;
  • il meccanismo che attribuiva alla minoranza “vincente” un premio di maggioranza senza soglia minima.

La Corte non ha contestato di per sé qualsiasi meccanismo correttivo dei voti espressi  attraverso un premio di maggioranza, ma ha dichiarato costituzionalmente intollerabile che possa essere attribuito un premio di maggioranza “senza soglia” perchè l’effetto sarebbe quello di produrre una distorsione enorme fra la volontà espressa dagli elettori ed il risultato in seggi, determinando un vulnus intollerabile all’eguaglianza del voto e al principio stesso della sovranità popolare.

Nessun sistema elettorale è in grado di assicurare una perfetta corrispondenza fra i voti espressi ed i seggi conseguiti da ciascuna forza politica che partecipa all’agone elettorale. Questo però non consente di buttare a mare il principio espresso dall’art. 48 della Costituzione secondo cui il voto è libero ed uguale, diretta conseguenza del principio di eguaglianza e di partecipazione espresso dall’art. 3 Cost.

La legge Calderoli aveva istituzionalizzato la diseguaglianza dei cittadini italiani nel voto, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 83 che prevedeva la formazione di un “quoziente di maggioranza” e di un “quoziente di minoranza”.

Nelle elezioni del 2013 il quoziente di maggioranza è stato di circa 29.000 voti, mentre quello di minoranza è stato superiore a 80.000 voti (cioè per eleggere un deputato nei partiti “premiati” sono stati sufficienti 29.000 voti popolari, mentre per eleggere un deputato per tutti gli altri partiti sono occorsi più di 80.000 voti popolari)  Il rapporto fra i due quozienti è stato di 2,66. Basti pensare che il PD con 8.646.457 voti (25,42%) ha ottenuto 292 seggi (pari al 47%) mentre il Movimento 5 stelle con 8.704.969 (25,56%) ha ottenuto 102 seggi (pari al 16,5%).

La Consulta ha dichiarato incostituzionale il porcellum proprio per evitare il ripetersi di una simile insostenibile distorsione fra la volontà espressa dal popolo italiano ed i risultati in termini di composizione della Camera rappresentativa.

Orbene l’Italicum finge di adeguarsi alle prescrizioni della Corte sia per quanto riguarda le liste bloccate, sia per quanto riguarda il premio di maggioranza, ma in realtà si sbarazza dei paletti che la Consulta ha posto alla discrezionalità del legislatore, riesumando una versione peggiorata del porcellum.

L’italicum apparentemente abbandona il sistema delle liste bloccate (in cui i deputati sono eletti in base all’ordine di lista, senza che l’elettore possa mettervi becco), rendendo bloccati “soltanto”i capilista, mentre gli altri deputati vengono eletti sulla base delle preferenze. Però c’è un trucco. Vengono creati 100 collegi di dimensioni variabili da tre a sei seggi. Poiché difficilmente un partito elegge, in collegi così ridotti, più di un deputato, ecco che buona parte dei deputati non saranno scelti dagli elettori con il voto di preferenza ma saranno direttamente “nominati”dai capi dei partiti.

Ma ancor maggiore è lo scostamento dalle prescrizioni della Consulta in tema di premio di maggioranza. Anche in questo versante l’italicum finge di adeguarsi perchè introduce una soglia minima al premio di maggioranza (40%), con ciò legittimando, peraltro, un premio di maggioranza notevolissimo (il 15%, pari a circa 90 seggi), equivalente a quello stabilito dalla legge truffa. Nella realtà quest’adeguamento viene rinnegato con un trucco. Alle elezioni del 1953, la coalizione governativa non raggiunse per pochi voti la soglia minima (50%) ed il premio di maggioranza non scattò. Per evitare questo rischio il legislatore moderno ha risolto il problema, rendendo la soglia minima rimuovibile, attraverso l’istituto del ballottaggio su base nazionale fra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti.

In questo modo l’italicum non solo non abolisce il meccanismo del premio di maggioranza senza soglia censurato dalla Corte costituzionale, ma addirittura lo esalta perché attribuisce il premio ad una unica lista, anziché alle coalizioni.

E’ questo l’aspetto più preoccupante della nuova legge elettorale.

L’italicum smantella ogni possibile coalizione perchè attribuisce il premio di maggioranza ad una sola lista. Per legge viene attribuita la maggioranza politica e la guida del Governo ad un solo partito, a prescindere dalla volontà del popolo sovrano. In questo modo viene reintrodotto nel nostro paese un sistema di governo basato sul partito unico.  Per rendersi conto della gravità di questa svolta, basti pensare che dal 24 aprile del 1944 (secondo governo Badoglio) ad oggi si sono sempre e solo succeduti governi di coalizione, o quantomeno sostenuti da una maggioranza di coalizione, mentre un governo del partito unico in Italia è esistito soltanto nel ventennio fascista. Fu proprio la legge elettorale dell’epoca (legge Acerbo) che consentì l’avvento di un partito unico al governo, attribuendo nelle elezioni del 1924 una maggioranza garantita al “listone”.

Poichè il sistema politico italiano non è bipolare, né tantomeno bipartitico il meccanismo elettorale congegnato è destinato a produrre naturalmente – soprattutto attraverso il ballottaggio – una fortissima distorsione fra la volontà espressa dal corpo elettorale ed i seggi conseguiti dalle singole forze politiche, istituzionalizzando la diseguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto.

Le due simulazioni che seguono rendono più chiari gli effetti perversi di questo sistema.

Queste semplici considerazioni dimostrano che l’Italicum è una legge insostenibile poichè aggredisce i fondamenti della democrazia repubblicana e ferisce uno dei principi che non può essere oggetto di revisione costituzionale: quello dell’eguaglianza dei cittadini.  L’ aspetto più preoccupante dell’italicum è che attraverso questo percorso di manipolazione della rappresentanza viene cambiata profondamente la forma di governo e squilibrata ogni forma di contrappeso istituzionale poiché un solo partito – per legge – avrà in  mano le chiavi del governo e della maggioranza parlamentare. Senza mediare con nessuno, potrà determinare l’elezione del Presidente della Repubblica e attraverso di lui influire sulla composizione della Corte costituzionale, neutralizzandone la funzione di controllo. L’italicum è una pistola carica puntata alle tempie della democrazia.

Questa minaccia può essere disinnescata soltanto attraverso i due referendum abrogativi proposti dal Comitato per il No all’italicum.

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