Richard Thaler, premio Nobel per l’economia (comportamentale)

Richard Thaler

Prendo spunto da un articolo di Emiliano Brancaccio (Nobel 2017: Thaler e le contraddizioni della “spinta gentile”, Economia e Politica, 10 ottobre 2017) per iniziare a mantenere la promessa fatta qualche giorno fa di iniziare il lungo e difficile percorso sull’economia che mi ero ripromesso di intraprendere.

La prima cosa che salta all’occhio è che Thaler insegna all’Università di Chicago, la famigerata Università di Chicago fucina del più rigido (loro direbbero rigoroso) neoliberismo, perché Thaler, in quell’ambiente, ha sempre rivestito i panni dell’outsider. In sostanza, mentre Eugene Fama, anche lui premio Nobel per l’economia nel 2013, e i suoi colleghi tentavano di dimostrare che il comportamento degli operatori economici fosse sempre razionale e improntato all’egoismo, il neopremiato cercava prove per confutare questa asserzione.

Emiliano Brancaccio

Thaler, che si è aggiudicato il Premio “per il suo contributo all’economia comportamentale“, ha condotto studi “sull’esistenza di limiti cognitivi, difficoltà di autocontrollo e condizionamenti sociali che rendono l’agire umano ben più complesso rispetto alle stilizzazioni tipiche della teoria neoclassica” (queste parole sono di Brancaccio). Fattori che contraddicono gravemente le semplificazioni adottate dagli economisti neoclassici (altrimenti detti neoliberisti) nella costruzione dei loro modelli matematici. Come spiegare, altrimenti, comportamenti come quello del giovane americano che, per essere il primo al mondo a possedere l’ultimo modello dell’IPhone si è spostato dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, ha fatto svariate ore di coda davanti a un Apple Store e ha speso tre o quattro volte il prezzo del pur caro apparecchio per aggiudicarselo? Ho delle difficoltà a ricondurre comportamenti di questo tipo nella sfera della razionalità.

Thaler analizza diversi casi limite cognitivi, fra cui:

  • L’effetto dotazione, ovvero il fatto che le persone attribuiscono irrazionalmente un valore maggiore alle dotazioni che già possiedono. Queste dotazioni vengono considerate da Thaler come un vero e proprio “punto di riferimento” generale intorno al quale gli esseri umani formulano obiettivi e decisioni. Per la teoria neoclassica delle comportamento razionale, questi “punti di riferimento” non hanno alcun senso di esistere.
  • La “contabilità mentale”. Per far fronte a calcoli economici complessi, gli individui hanno la tendenza a suddividere le loro decisioni di spesa e di risparmio in diverse voci di bilancio: casa, cibo, vestiario, ecc. Si tratta di un espediente che facilita i conteggi, ma limita la razionalità, perché induce le persone a non trasferire le risorse da una voce all’altra quando sarebbe conveniente farlo.
  • Il problema dell’autocontrollo. Per Thaler la psiche umana si trova in uno stato di permanente conflitto interiore fra un pianificatore lungimirante e un dissipatore impaziente. Se la parte pianificatrice non è in grado di controllare quella dissipatrice, allora l’individuo tenderà a prendere decisioni che limiteranno il suo benessere nel lungo periodo, ad esempio tendendo a consumare troppo e risparmiare troppo poco.
  • condizionamenti sociali. Gli individui agiscono non soltanto in base a pulsioni egoistiche, ma anche sulla base di condizionamenti sociali derivanti da istanze di equità. Ad esempio, se si verificasse un inatteso temporale i consumatori valuterebbero come opportunistica la decisione delle imprese di elevare il prezzo degli ombrelli a fronte di questo improvviso aumento della domanda. Per la teoria neoclassica – che, come sappiamo, si basa sul soddisfacimento egoistico – un comportamento di questo tipo sarebbe totalmente irrazionale. Inoltre, impedirebbe alle imprese di ragionare nel quadro dei termini canonici della legge della domanda e dell’offerta. Eppure questo atteggiamento è riscontrabile in molte circostanze ed è esattamente quello che farei io – senza provare alcun senso di colpa – se mi trovassi in una situazione simile.

Thaler non è però né un eretico né un rivoluzionario, perché, sebbene citi spesso economisti quali Keynes e polemizzi di frequente con i suoi colleghi della Scuola di Chicago, considera l’economia comportamentale come una naturale evoluzione della teoria neoclassica, che confuta in alcuni aspetti ma non rigetta. Gli scostamenti dal comportamento perfettamente razionale sono, nella sua visione, considerati degli errori.

“L’idea di Thaler di considerare l’economia comportamentale – per dirla nuovamente con le parole di Brancaccio – gli ha sicuramente permesso di fra breccia fra gli economisti del mainstream e ha certamente contribuito a decretare il grande successo dei suoi contributi in campo accademico. La sua visione tuttavia non entusiasmerà quei neuroscienziati che stanno accumulando evidenze sulla incompatibilità di fondo del razionalismo neoclassico con i moderni studi sul funzionamento del cervello, né piacerà agli economisti che considerano la teoria neoclassica viziata da incoerenze logiche”.

Un esempio del fatto che Thaler sia da considerarsi nel solco della corrente di pensiero neoliberista è dato dalla sua visione del problema dell’innovazione. Il Premio Nobel 2017 è convinto che sia materia da affidare ai privati, non addicendosi alle competenze dello Stato. Una tesi che sembra riflettere il pregiudizio tipico dei teorici neoclassici i quali hanno sempre avuto un notevole difficoltà a inquadrare questo fenomeno nei loro modelli teorici.

Infine, prendiamo in considerazione l’idea di Thaler, forse il suo contributo più famoso, secondo cui le autorità dovrebbero esercitare una “spinta gentile” per aiutare gli individui a correggere le loro deviazioni dall'”ideale normativo del comportamento razionale” (sempre Brancaccio). I lavoratori potrebbero essere iscritti per default a piani di investimento mediante intervento legislativo, a meno che essi non dichiarino espressamente di volerlo fare. Thaler lo chiama “paternalismo libertario” e verrebbe in questo modo preservato il principio della libera scelta tradizionale nella cultura anglosassone, ma, al contempo, ciò consentirebbe alle autorità di accrescere il risparmio e la capitalizzazione di borsa fino al punto di equilibrio. In qualche modo, queste “spinte gentili” sono state adottate anche in Italia con risultati piuttosto incerti sia sul volume totale del risparmio che sulla capitalizzazione di borsa, ma soprattutto non hanno dato grandi frutti dal punto di vista del benessere collettivo.

In conclusione, anche Thaler va ascritto, a mio parere, al novero degli economisti neoliberisti. Un neoliberismo corretto e rivisitato, forse, ma che non mette in discussione il predominio di fondo del mercato, della finanza e del privato sul pubblico. Parte dall’assunto che quello capitalista sia il mondo migliore in cui vivere e cerca di correggerne alcune evidenti distorsioni, ma non intende mettere in discussione i paradigmi fondamentali della teoria neoclassica. Purtroppo i risultati dell’applicazione di questa dottrina li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: disoccupazione, sfruttamente del lavoro, inquinamento, irresponsabilità delle imprese, privatizzazioni di servizi pubblici fondamentali e chi più ne ha, più ne metta.

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