Elezioni francesi, io sto con Mélenchon

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Jean-Luc Mélenchon

Mentre scrivo, le urne in Francia stanno per chiudersi e la situazione, a stare ai sondaggi che trapelano è molto incerta.

Si può però fin da ora fare qualche valutazione. In primo luogo l’affluenza è stata buona: alle 17 aveva votato il 69% degli aventi diritto, una percentuale inferiore di appena un punto rispetto alle elezioni di cinque anni fa.

In testa sembrerebbe esserci Macron, il candidato centrista filoeuropeo, quello che, nelle previsioni di qualche mese fa sembrava essere tagliato fuori. Ma su di lui sono confluiti i voti dei socialisti moderati, che mal hanno digerito la vittoria di Hamon alle primarie.

Ecco, appunto, le tanto acclamate primarie. A che cosa servono, se poi i partiti che le indicono non rispettano il parere dei loro elettori?

Comunque, verrebbe da dire: problema dei francesi. Se non fosse che in queste elezioni è in ballo il destino dell’Europa – e in Europa ci siamo anche noi. Stiamo assistendo, infatti, a un ribaltamento della logica. In teoria, infatti, dovrebbero essere le elezioni europee a condizionare quelle nazionali, non viceversa. Ma l’Europa si trova in una condizione di assoluta debolezza e quasi ogni stormir di foglia potrebbe far crollare come una pera matura, il che, detto sottovoce, forse sarebbe il minore dei mali.

Non nascondo che, fra tutti i candidati alle presidenziali francesi, il mio preferito è Mélenchon e non perché lo conosca o abbia approfondito più di tanto la conoscenza del suo programma, ma per alcune semplicissime ragioni: la prima, banalissima, è che è di sinistra, decisamente di sinistra; la seconda è che mi piace il nome che ha dato alla sua coalizione (La France insoumise, la Francia non sottomessa), un nome che fa pensare a una riscossa in caso di vittoria; la terza è che è riuscito a tenere più o meno unita la sinistra (fatto di per se stesso encomiabile).

Infine, ma qui siamo per il momento nel mondo dei sogni, sarebbe bello vedere un ballottaggio fra Mélenchon e Marine Le Pen, ovvero fra la sinistra sinistra e la destra destra, dando un forte segnale di discontinuità alla ormai eterna rincorsa verso l’elettorato centrista che ha portato all’immobilismo totale in tutto il continente.

Bisogna però fare una considerazione molto seria. In ballo c’è lo Stato sociale francese, uno dei più evoluti al mondo. Fino a che punto viene messo in gioco e da chi? A quanto ne so, tutti i candidati che all’inizio della campagna elettorale si sono espressi per uno smantellamento del welfare hanno dovuto fare marcia indietro. Ma anche in Francia sono abituati al non mantenimento delle promesse elettorali e, quindi, bisogna vedere fino a che punto gli elettori si fidano della rosa dei candidati e di chi.

Infine, continuo a leggere commenti sul fatto che l’ipotesi di uno scontro al ballottaggio fra Mélenchon e la Le Pen sarebbe lo scontro di due populismi. Credo sia ora di finirla con l’utilizzo a sproposito di questa parola, con l’abuso del termine, poiché ormai tutto quello che va fuori dagli schemi, anche di pochissimo, tutti quelli che non si allineano, tutti coloro che esprimono una visione critica sulla sostanza delle cose vengono denigrati con questo termine. Secondo i media di oggi, Gramsci sarebbe un populista, e così lo sarebbero anche Togliatti e Berliguer.

Saprà stupirmi la Francia? Non credo, ma mi piacerebbe essere smentito dai fatti. Poche ore e sapremo.

Comunque, forza Mélenchon!

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