Andiam andiam andiamo a lavorar

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Il quarto governo di nominati non aveva ancora conquistato la fiducia al Senato che già iniziava a mostrare di che pasta è fatto. Lo si poteva tranquillamente sospettare, visto che in fin dei conti i ministri sono gli stessi tranne una, ma la conferma è comunque arrivata puntuale per bocca del ministro Giuliano Poletti.

Il confermato al dicastero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ma dov’è l’uno e dove sono le altre?) – il cui sito è fermo al 26 novembre, data nella quale in ben quattro slide (ma una è la copertina) sono presentate le novità relative a pensionilavoropolitiche sociali giovani – ha prontamente dichiarato che si andrà al voto prima del referendum sul Jobs Act. Questo potrebbe sembrare un dettaglio tecnico, di date sfalsate per evitare sovrapposizioni, ma in realtà è un fatto politico di grande importanza. Se ci fossero le elezioni, infatti, il referendum slitterebbe di un anno esatto.

Mi sembra che si sia arrivati a una situazione di delirio totale. I membri di questo governo (e pare proprio che alcuni di loro abbiano sbraitato per essere riconfermati o addirittura promossi, come Maria Elena Boschi, ormai gentilmente appellata “la zavorra dai suoi stessi ex sostenitori nel PD), non paghi di essersi ormai conquistati l’ambito titolo di peggior governo della storia del nostro Paese (e ce n’è voluta, vista la nutrita concorrenza!), vogliono portare le loro azioni alle estreme conseguenze.

Ne discutevo con un conoscente che milita nei Cinque Stelle: se una roba del genere fosse capitata in un altro Paese saremmo qui a deriderlo pesantemente. Purtroppo è capitata a noi ed è giusto che siano gli altri a deriderci. Ma, nonostante la diversità di vedute fra i Cinque Stelle e me, su una cosa andiamo d’accordo: sul fatto che alle prossime elezioni i grillini si troveranno la strada spianata, perché la gente non ne può più di questa politica autoreferenziale e lontana dalla risoluzione di quelli che sono i veri problemi. La dimostrazione di questo assunto sta proprio nel fatto che ogni volta che aprono bocca travasano centinaia di migliaia di voti verso i movimenti cosiddetti populisti, ovvero ottengono proprio il risultato opposto, quello che vorrebbero evitare a tutti i costi.

Non sarò certo fra quelli che andranno a scavare la loro tomba politica, perché mi muoverò, alle prossime scadenze elettorali, in totale autonomia di giudizio. I paletti per tracciare i confini delle possibili alleanze li ho già piantati da tempo e sono noti. Ma non sarò nemmeno fra quelli che correranno a soccorrerli, né mi metterò a piangere per la loro cancellazione dalla scena (sempre dal punto di vista politico, s’intende). Perché c’è un fatto nuovo, che lor signori non sono ancora riusciti a elaborare. Il popolo ha capito che, se va a votare in massa, può realmente cambiare le cose. Questo referendum, stravinto anche se per il momento non se ne godono gli effetti (i più immediati ed evidenti avrebbero dovuto essere l’abbandono della politica da parte di Renzi e Boschi, per loro stessa affermazione, non per mia volontà) ha avuto il grande merito di mostrare agli italiani che, se solo lo vogliono, sono in grado di mettere paura alla classe politica.

Non è vero che non possiamo cambiare le cose; se vogliamo farlo possiamo eccome!

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