Attualità del pensiero di Piero Gobetti.

Il 15 febbraio non cade soltanto la ricorrenza della nascita di Galileo Galilei, ma anche quella della morte di un giovanissimo intellettuale italiano del secolo scorso, vittima della violenza fascista, Piero Gobetti.

Gobetti nacque a Torino il 19 giugno 1901. Nel corso della sua breve ma intensissima attività abbracciò diverse discipline: scienze sociali, filosofia, letteratura e teatro. Ma, nonostante la vastità dei suoi interesse, il suo non fu mai un approccio superficiale. Di mestiere, se così vogliamo chiamarlo, era giornalista, direttore di testata ed editore (in questo ultimo ambito pubblicò Ossi di seppia dell’allora ventottenne Eugenio Montale e il primo contributo, in quello che oggi chiameremmo un instant book, sulla figura di Giacomo Matteotti, all’indomani della morte ordinata dai vertici fascisti).

Proveniente da una famiglia di origine contadina trasferitasi a Torino per avviare un’attività di piccolo commercio, Gobetti ebbe una brillantissima carriera scolastica. Si diplomò nel 1918 al liceo Gioberti e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Pochi mesi dopo, siamo nel novembre 1918, fonda la sua prima rivista, Energie Nove, di ispirazione salveminiana e crociana. Nel 1919 è animatore del gruppo torinese degli unitari, che rappresenta al congresso fiorentino dell’aprile, ove nasce la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale. Salvemini gli propone la direzione dell’Unità, ma rifiuta e riprende a pubblicare Energie Nove, interrotta alcune settimane prima. In questa nuova serie cercò, come ricorderà alcuni anni più tardi, “di chiarire concetti e problemi che rimanevano oscuri nell’insegnamento dell’Unità”. Nel luglio scrive sulla rivoluzione russa, proponendone una originalissima interpretazione come rivoluzione liberale.

Instancabile, collabora con numerosi giornali e periodici del tempo: ConscientiaIl LavoroL’Educazione nazionalePoesia ed arteL’Ora di Palermo, Il Resto del CarlinoIl popolo romano.

Nel 1921 approda all’Ordine Nuovo, organo della minoranza comunista della sezione torinese del Psi. Sulle pagine del quotidiano comunista Gobetti (che si firma con lo pseudonimo Giuseppe Baretti) scrive di letteratura e di teatro. Stronca alcuni dei maggiori attori dell’epoca, da Ermete Zacconi ad Alda Borelli, da Maria Melato a Gandusio. Fanno eccezione soltanto la Duse e la Gramatica. Ha alcune originali intuizioni intorno ai drammi di Ibsen e di Shakespeare, dei quali riesce a fornire sempre meditate chiavi interpretative attraverso un acuto processo di scomposizione e ricomposizione.

Nel 1922, ricollegandosi idealmente all’esperienza di Energie Nove fonda il settimanale Rivoluzione liberale. Questo periodico intende porsi come voce di un’opera rinnovatrice, di cui siano protagoniste sia le élites intellettuali della borghesia, sia le coscienze più attive del proletariato. Sotto il fascismo la rivista diviene organo dell’antifascismo militante e subisce una feroce repressione. Nel settembre 1924, Gobetti viene selvaggiamente aggredito. Nonostante ciò fonda la sua terza rivista, Il Baretti. oltre alla sua nuova casa editrice, la “Piero Gobetti editore”. Con Il Baretti, Gobetti mira a trasferire sul piano culturale e letterario quella opposizione che sul piano politico è ormai divenuta impossibile. Intorno alla rivista, si raccolgono le migliori menti della giovane letteratura, Fra le firme più prestigiose ricordiamo quelle di Amendola, Debenedetti, Sapegno, Tilgher, Missiroli, Pea, oltre al già citato Montale. Si può dire che Il Baretti sia figlio di quella tradizione illuminista che aveva guidato il paese fino alle soglie del Risorgimento.

Oltre a questo già notevolissimo impegno, Gobetti si dedica allo studio della figura di Vittorio Alfieri e fa interessanti puntate sulla letteratura russa. Mostra anche uno spiccato interesse nei confronti della pittura, in particolare a quella di Felice Casorati.

Nel 1926, in seguito a un pestaggio fascista di particolare violenza che lo lascia esanime sulla porta di casa, decide per l’esilio volontario a Parigi. Mai più ripresosi dalle conseguenze delle percosse, viene stroncato da una bronchite la notte del 15 febbraio, non ancora venticinquenne1.

Precocità, talento, ma anche grande capacità e attitudine al lavoro hanno permesso a Gobetti di capire, prima di altri, “le radici del fascismo appena insediatosi, visto come male antico della società italiana e autobiografia della nazione, definizione ripresa dal meridionalista Giustino Fortunato”2. Il giovane intellettuale torinese mette l’accento in particolare sulla profonda differenza fra il fascismo settentrionale e quello meridionale. Il primo, squadrista e violento, si differenza marcatamente dal secondo, che assume forme più trasformiste, clericali e opportuniste. Mussolini ha colto la vocazione italiana al populismo, quell’aspetto teatrale che tanto piace al nostro popolo.

Il fascismo riesce a insediarsi perché nell’Italia dell’epoca la democrazia era incompiuta, nella quale era assente un vero liberalismo conservatore. Gobetti anela quindi a una rivoluzione liberale, ma non si limita a riproporre schemi concettuali del passato. Pone attenzione al pensiero federalista di Carlo Cattaneo, ma guarda con interesse anche all’occupazione delle fabbriche dell’autunno 1920, che legge come una lotta per l’inserimento operaio nella dialettica democratica.

Gobetti comprende come il futuro sia nel partito di massa e nella democrazia di massa, mentre la classe dirigente liberale preferisce rifugiarsi nel fascismo o in una opposizione di facciata, piuttosto che affrontare le sfide che la modernità nel pluralismo pone loro. Il conflitto sociale viene visto, dal giovane torinese, come espressione di democrazia, acquisizione concettuale non scontata, visto che anche nel primo quinquennio repubblicano non fu infrequente il ricorso alle forze di polizia in risposta alle lotte sindacali.

Non stupisce quindi che Gobetti, come Gramsci (con il quale ebbe diversi contatti, allontanamenti e riavvicinamenti), venisse ritenuto pericoloso dal regime fascista. Un ostacolo da rimuovere, con le cattive. Oggi non possiamo che domandarci a quali vette di pensiero sarebbero potuti arrivare questi due intellettuali se solo fossero stati lasciati liberi di sviluppare il loro pensiero e di completare il loro lavoro. Da punti di vista diversi, l’analisi di Gobetti come quella di Gramsci sono di sorprendente modernità, perché hanno saputo leggere i caratteri comuni e costanti della cultura popolare italiana e come avrebbero potuto, seppure lentamente, trasformarsi.

  1. Note biografiche tratte da biografieonline.it.
  2. Mirco Drondi, Piero Gobetti, messaggero di impegno civile 90 anni dopo, Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2016.

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