Due parole sulla questione dell’ILVA

La vicenda dell’ILVA si avvia verso la conclusione o ci troviamo di fronte a un passaggio intermedio di un braccio di ferro che si prospetta ancora lungo? Personalmente propendo per la seconda ipotesi.

La ragione è molto semplice e ce lo racconta la storia stessa delle privatizzazioni in Italia dove, quasi sempre, gli acquirenti che hanno rilevato imprese delle ex Partecipazioni Statali, le hanno utilizzate per fare cassa. E qual è il modo più rapido per aumentare la redditività di un’azienda? Tagliare i costi e limitare, quando non azzerare, gli investimenti. E fra i costi, il più facile e immediato da eliminare è quello del personale.

Nello specifico, la situazione dell’ILVA è resa ancora più complessa dalla vicenda di Taranto. L’azienda deve risanare, ma i costi di questo risanamento ricadranno sulle spalle dei cittadini. Altrimenti il costo che gli acquirenti dovrebbero sostenere sarebbe troppo alto e nessuno si farebbe carico di quelle spese in un settore maturo come quello dell’acciaio.

La situazione dei lavoratori è assai precaria, quindi. E non credo bastino le rassicurazioni giunte da parte del governo, anzi. Mi sembra di poter affermare che questo governo abbia già dato ampie dimostrazioni di quale sia la sua visione del lavoro.

Naturalmente, fra le varie opzioni possibili, è stata scartata a priori quella della nazionalizzazione dell’impresa, modo che avrebbe garantito il rientro, lentamente e forse solo in parte, del denaro speso per le varie bonifiche necessarie a riqualificare le aree in cui ILVA operava a Taranto ma non solo. L’immagine in testa a questo post, riferita alla città pugliese, credo illustri abbastanza bene quali siano stati i livelli di emissione degli altiforni quando funzionavano a pieno regime, ovvero fino a poco più di tre anni fa. L’opzione di riportare l’azienda in mano allo Stato è stata scartata, dicevo, per motivi prettamente ideologici. Questo governo si rifà alla dottrina economica neoliberista ed esclude quindi ogni possibile intervento risanatorio da parte dello Stato. Si avvicina l’ennesima svendita, fra l’altro assai frettolosa (ieri il decreto sulla cessione di otto aziende, fra cui, appunto, l’ILVA, è stato convertito in legge e i tempi previsti per la presentazione delle manifestazioni d’interesse sono strettissimi: il 10 febbraio inizierà l’iter di approfondimento specifico. V. Il Sole 24 Ore, “Ilva, il decreto sulla cessione è legge. Azienda: 6 milioni di danni da stop di Cornigliano“).

Nei giorni scorsi, gli operai dello stabilimento di Genova (circa 2000, cui andrebbe aggiunto l’indotto) sono scesi in sciopero per il mantenimento dell’accordo di programma, documento che, nel prevedere la destinazione ad altro uso industriale di parte delle aree dell’ex “area a caldo”, impegnava le parti coinvolte al mantenimento dei livelli di occupazione e reddito mediante la riconversione degli addetti all'”area a freddo”. La situazione si è – provvisoriamente? – sbloccata con la decisione da parte del governo di far partecipare all’incontro previsto il 4 febbraio presso il Ministero dello Sviluppo economico un proprio rappresentante, nella persona del sottosegretario allo Sviluppo economico Simona Vicari. Solo che, a pochissime ore di distanza, la stessa Simona Vicari, nel quadro del rimpasto di governo deciso da Matteo Renzi, ha traslocato al Ministero dei Trasporti…

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