Che alle parole, per una buona volta, seguano i fatti

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Quello che segue in fondo a questo articolo è un estratto dal resoconto stenografico del Senato della Repubblica, non un discorso da bar intercettato per caso. Chi fa questa dichiarazione è Renzi e la data è 20 gennaio 2016. La fonte è un articolo di Francesco Esparmer (L’onore e la fiducia: il solenne impegno di Renzi davanti al Senato, La Voce di New Yotk, 10 dicembre 2016).

Per una volta, l’eloquio del presidente del Consiglio è chiarissimo, non si presta a interpretazioni e dietrologie. In qualunque Paese del mondo, come dice Travaglio oggi sul Fatto Quotidiano, stampa, televisioni, elettori sia del suo che di altri partiti, sarebbero sul piede di guerra per aiutarlo a mantenere la parola data. Invece, una parte di loro – vedi Scalfari su Repubblica, sempre di oggi – è già pronta a dargli consigli su come gestire il prossimo mandato da presidente del Consiglio.

A Renzi mancano due qualità, almeno: la prima è la cultura politica, che prevede anche qualche nozione di economia e la seconda, forse più importante, è l’etica del servizio alla comunità. Che bisogno c’era di mettere mano alla Costituzione, quando l’emergenza reale, vera, principale è quella di ridurre le disuguaglianze in questo Paese? I casi sono due: o Renzi è eterodiretto, cioè fa il gioco di qualcuno che lo pilota a suo piacimenti, oppure è stato colto da un sogno narcisistico, quello di passare alla storia, manomettendo la Costituzione ma legando per sempre il suo nome alla Carta fondamentale. O forse, tutte e due le cose.

In entrambi i casi… Renzi, sappilo, non sei il mio presidente e non mi rappresenti. Sei solo uno dei tanti nominati che non è mai passato per le urne. Hai fatto uno dei governi più dannosi della storia repubblicana (massacro dei diritti dei lavoratori, della scuola, della sanità, delle pensioni, non hai risolto i problemi del pubblico impiego, ti sei piegato alle logiche della parte peggiore dell’Europa, non hai colto le opportunità vere di cambiamento, quelle in positivo) e la tuo attivo possiamo concedere soltanto la concessione (perché di questo si parla) dei diritti alle coppie omosessuali. Un po’ pochino, direi.

Chi ci accusa oggi di plebiscito è lo stesso che ieri ci accusava di autoreferenzialità… Ma ci deve essere una presa di responsabilità totale e globale. Ho personalmente affermato davanti alla stampa, e lo ribadisco qui davanti alle senatrici e ai senatori, che nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica.
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L’ho fatto perché credo profondamente in un valore: la dignità del proprio impegno nella cosa pubblica.
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Ma il punto chiave di questa discussione oggi non è la personalizzazione esasperata, non è il tentativo di trasformare un referendum in un plebiscito; è recuperare quel filo di credibilità della persona e dell’impegno pubblico. Com’è possibile immaginare, dopo una cavalcata così emozionante e straordinaria, unica in settant’anni, di poter andare ad un referendum su quella che è la madre di tutte le riforme e di non trarne le eventuali conseguenze, qualora non vi fosse un voto positivo? Com’è possibile non prendere atto che è terminata la stagione dell’impegno politico fatto a prescindere dal consenso dei cittadini?
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Io prendo qui l’impegno esplicito: in caso di sconfitta ne trarremo le conseguenze.
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Ma dico anche che, proprio per questo motivo, sarà affascinante vedere le stesse facce gaudenti di adesso il giorno dopo il referendum, quando i cittadini, con la riforma, avranno dimostrato da che parte sta l’Italia… Questa è l’Italia che sta ripartendo. Nei momenti chiave del mio impegno politico, come questo, mi capita di ripensare alla mia formazione educativa, legata allo scoutismo. Con un’espressione programmatica, che molti conoscono anche in quest’Aula per esperienza personale, il mondo scout dice: “Pongo il mio onore nel meritare fiducia“.

Resoconto stenografico completo della seduta del Senato del 20 gennaio 2016

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