Gli uomini che fecero la Costituzione: Umberto Terracini

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Umberto Terracini firma la Costituzione

Quando penso agli uomini che fecero la Costituzione, solo a sentirne i nomi, mi vengono i brividi, specie se li confronto con quelli di adesso. Ho usato il verbo fare – fecero – anziché scrivere perché questi uomini la costruirono pezzo per pezzo, prima con la loro militanza antifascista, poi con il carcere, l’esilio, il confino o la lotta sui monti e nelle città.

Umberto Terracini nel 1963

Uno di questi, uno dei più importanti, fu Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente dopo le dimissioni di Giuseppe Saragat dalla carica e quello che voglio raccontare è un episodio, forse non molto famoso, ma emblematico del carattere e dello stile di colui che appose la propria firma sulla prima copia della nostra Carta. L’episodio è raccontato nel libro di Alberto Menichelli, In auto con Berlinguer. Quindici anni con il Segretario del Pci, pubblicato dall’Unità nel 2014 in occasione del trentesimo anniversario della prematura scomparsa di Enrico Berlinguer:

[…] Subentrai all’autista di Umberto Terracini, Mario Gramaccini, che era stato vittima di un incidente d’auto al ritorno da Genzano. Durante gli accertamenti riguardo la dinamica dello scontro nel quale aveva perso la vita una persona, gli ritirarono la patente, mettendolo in difficoltà al lavoro. Noi della vigilanza non eravamo dei veri autisti, ma fummo comunque tenuti in considerazione nella valutazione del possibile sostituto. Alla fine venni scelto io, che accettai con un pizzico di incoscienza. A pensarci bene, al tempo, ma anche ora, solo a sentir nominare Terracini, mi venivano i brividi, provavo un senso di soggezione di fronte a un uomo di quel calibro, che era stato relatore e firmatario della Costituzione, eroe della Resistenza e dell’antifascismo, oltre che dirigente del Pci. Mi spettava, dunque, un compito molto importante che mi rendeva responsabile di fronte a Terracini e all’intero partito. Il primo impatto con lui fu positivo. Non era solo un grande politico ma anche un grande signore, distinto ed elegante, che sapeva mettere a proprio agio chi gli stava davanti. La nostra prima volta fu a Firenze nel 1966. La città era stata colpita da un’alluvione e l’Italia intera si era mobilitata per salvare le opere d’arte. Partimmo da Roma e arrivammo in tarda mattinata, dove ad attenderci al casello autostradale c’era il segretario regionale della Toscana che lo mise al corrente della drammaticità della situazione. A causa delle pessime condizioni della città pernottammo a Fiesole, dove i compagni toscani ci avevano riservato una stanza. Il problema fu il letto: era matrimoniale. Io mi sentivo imbarazzatissimo e allo stesso tempo terrorizzato dall’idea di condividerlo con Terracini: temevo di disturbarlo durante la notte, e di non farlo riposare perché, devo ammetterlo, russo. Quella sera arrivammo tardi in albergo per via dei numerosi incontri in Prefettura e in altri luoghi, fu una giornata davvero pesante, eravamo stanchi e affaticati. Nonostante ciò non credevo di potermi addormentare, o almeno di poterlo fare così velocemente. Nel giro di qualche minuto, dopo aver indossato il pigiama, ed essermi raggomitolato sull’orlo del letto, caddi in un sonno profondo. La mattina seguente, prima ancora di aprire gli occhi, sentii un profumo di caffè, Mi svegliai con un colpettino sulla spalla che mi fece sobbalzare, mi alzai di scatto e mi trovai davanti Terracini che mi disse: “buongiorno Alberto ti ho portato il caffè”. Rimasi senza parole, avevo davanti un eroe dell’antifascismo che mi portava il caffè a letto. Quando raccontai questo episodio a mio padre per poco piangeva dall’emozione perché lo ammirava tantissimo. […]

Credo che ogni ulteriore commento sia superfluo e ogni confronto con i politici di oggi inutile.

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