La riforma costituzionale? Illeggibile

Ho raccolto l’invito fatto da Mauro Barberis nel suo blog sul Fatto Quotidiano (Referendum: leggete la riforma costituzionale! Se ci riuscite…) e, pur essendomi concesso qualche scorciatoia, concordo: la riforma costituzionale è davvero illeggibile.

A dire il vero, questa sensazione l’avevo già avuta quando avevo letto il file che presenta, comparandole, le due versioni – quella originale e quella modificata (scaricabile nella sezione dedicata al referendum costituzionale e all’Italicum su questo sito). Non avevo capito praticamente nulla, ma lo avevo attribuito alla mia incompetenza in materia giuridica. Il fatto che ora un costituzionalista affermi la stessa cosa… beh! quanto meno rafforza la mia autostima e mi spinge a fare qualche considerazione.

La nostra Carta (la più bella del mondo non so, ma sicuramente una Costituzione fra le più moderne e le più chiare) aveva in primo luogo un grande pregio: era scritta bene. Chiunque la leggesse, non importa quale fosse il suo titolo di studio, la comprendeva senza sforzo alla prima lettura. Frasi concise, parole semplici, concetti chiari. Da un certo punto di vista era stata scritta come la Bibbia. Un testo che si rivolge a tutti deve essere compreso da tutti, non solo dagli addetti ai lavori. Inoltre, un testo che costituisce la norma fondamentale dovrebbe lasciare il minore spazio possibile all’interpretazione soggettiva. Aggiungo anche, ma questa è una considerazione del tutto personale e assolutamente non tecnica, che la Costituzione nata dalla Resistenza aveva un certo pathos. Molti articoli trasudavano – e per fortuna trasudano ancora – la tensione emotiva che li aveva generati, il dibattito animato che aveva portato a questo compromesso alto fra le migliori menti politiche di quella generazione, le grandi scuole di pensiero politico che si confrontavano nell’Assemblea.

Il testo di questa riforma, secondo me, presenta molti difetti. Non entro qui nel discorso tecnico, che non mi compete e non sono preparato a fare, ma affronto soltanto gli aspetti più legati alla politica spicciola.

In primo luogo, è scritta come una legge ordinaria e non come una legge costituzionale. La legge costituzionale dovrebbe indicare le linee di indirizzo, non stabilire i dettagli. Gli articoli dovrebbero essere brevi, sintetici, chiari. La Costituzione è, fra l’altro, una delle prime letture che un cittadino straniero che vuole integrarsi in un Paese dovrebbe fare. L’eventuale traduzione (come aveva fatto la Regione Liguria qualche anno fa stampando un opuscolo che riportava il Titolo primo della Carta tradotto in tutte le lingue parlate dagli immigrati) non deve lasciare spazio a equivoci.

In secondo luogo, la Costituzione del 1948 venne scritta senza la fretta che sta caratterizzando questa stagione politica. I padri costituenti avevano una scadenza, ma decisero di darsi ulteriori otto mesi. Avevano ben chiaro che stavano costruendo il futuro di un Paese complesso, diviso culturalmente e socialmente come il nostro e che era meglio prendersi un po’ di tempo in più per approvare la stesura definitiva. La Commissione dei 75 e le sottocommissioni elaborarono testi che vennero presentati in plenaria per la discussione e l’approvazione (chi avesse la pazienza di farlo, può trovare tutti le trascrizioni riprodotte dagli originali sul sito dell’Archivio Storico della Camera dei Deputati). Insomma, fu un intenso lavoro collettivo cui si dedicarono quasi tutte le migliori menti politiche dell’immediato dopoguerra, nomi che a rileggerli oggi mettono i brividi. Ma soprattutto rappresentanti del popolo di cui sappiamo nome, cognome, storia personale, tendenze politiche, appartenenza ideologica. A proposito di questo, mi piacerebbe sapere chi si è materialmente occupato di redigere il testo recentemente approvato dalle Camere, perché credo che, almeno in materia costituzionale, si debba avere la totale trasparenza e comprensibilità. Dato che non si tratta di una piccola riforma, visto che viene modificato circa un terzo del testo complessivo e che, complessivamente, la lunghezza della Costituzione quantomeno raddoppia, mi sembra quantomeno legittimo conoscerne gli autori, per innalzarli a gloria eterna o esporli al pubblico ludibrio, a seconda dei gusti.

Infine, mettere nella stessa legge di riforma argomenti così distanti fra loro complica ulteriormente la possibilità di comprendere la riforma. Cosa c’entra il CNEL con il Senato? E con le Regioni? E le Regioni con il Senato? Si può discutere sull’utilità o meno del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, ma lo si può fare a parte. E soprattutto, come se ne può, se ne deve discutere. Il CNEL è un organismo di consulenza che opera, per le tematiche di propria competenza, su richiesta di Parlamento, Governo e Regioni; negli anni scorsi è stato l’artefice, insieme all’ISTAT, dell’elaborazione del BES, Benessere Equo e Sostenibile, indicatore alternativo al PIL. Questo è tutto un altro discorso, che prima o poi dovrà essere affrontato.

Certo, l’accorpamento aiuta la narrazione e la semplificazione. È sicuramente più semplice porre un quesito unico e caricarlo di toni ultimativi, come è stato fatto dal Presidente del Consiglio che ha sostanzialmente chiamato al plebiscito nei suoi confronti, che spiegare uno per uno tutti i punti della modifica. E il referendum costituzionale di ottobre sarà sicuramente un referendum “monco”, perché non consentirà di valutare di volta in volta sul gradimento di ogni riforma o di un aspetto della riforma, ma costringerà il cittadino elettore a “prendere o lasciare” tutto il pacchetto. Faccio un esempio: supponiamo io voglia abolire il CNEL e riformare le Regioni nel senso proposto dalla legge costituzionale Renzi-Boschi; e supponiamo che io non voglia assolutamente che il Senato venga riformato. Come faccio? Devo scegliere se tenermi il CNEL e le Regioni attuali e salvare il Senato, o cedere sul Senato per abolire il CNEL e riformare le Regioni. Se i referendum fossero tre potrei documentarmi ed esprimere la mia opinione

E non voglio in questa sede affrontare la questione del fatto che una riforma costituzionale non può essere fatta a colpi di fiducia, perché farei un discorso troppo lungo.

Infine, come ultima osservazione, la questione delle Regioni, che riguarda indirettamente anche la questione del nuovo Senato. La riforma costituzionale di qualche anno fa, quella che toccò il Titolo quinto sostanzialmente per acquietare i proclami secessionistici della Lega, fu una riforma sbagliata. Passare da uno Stato centralizzato a uno regionalistico è possibile, al di là di quelli che possono essere giudizi più approfonditi di ordine politico, ma va fatto coerentemente e completamente. Nella logica del decentramento completo, le Regioni avrebbero dovuto avere piena potestà fiscale, cioè riscuotere tributi anziché essere soltanto centri di spesa. Le attuali Regioni sono enti costosissimi, con poteri anomali e le vicende riguardanti molti consiglieri sono un segnale del loro cattivo funzionamento. La riforma costituzionale Renzi-Boschi non sembra mettere mano a tutti i problemi, semplicemente si limita a riportare sotto l’egida dello Stato una serie di competenze che prima venivano gestite in maniera concorrente.

Anche se avevo già deciso per cosa votare al referendum di ottobre, queste riflessioni sul modo di scrivere una riforma costituzionale, rafforzano la mia determinazione a mettere la crocetta sul NO.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

albertosoave.it © 2017 Frontier Theme