L’occasione persa dalle Regioni

Martedì scorso (8 marzo), durante la riunione settimanale del comitato che deve cercare di organizzare nel modo migliore possibile la campagna referendaria contro le trivellazioni, avevamo dedicato un po’ di tempo alla possibilità che il numero dei quesiti venisse allargato, perché c’erano ancora in ballo due ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Questo conflitto era stato sollevato da Basilicata, Liguria, Puglia, Marche, Sardegna e Veneto e, se accolto, avrebbe rimesso in discussione molti punti controversi, non solo relativi alla questione delle trivellazioni. Renzi, nella sua attività governativa, ha spesso “invaso” campi che, nel corso degli anni, sono diventati di pertinenza delle Regioni; sono stati tolti, quindi, al potere legislativo del governo centrale.

Ma la Corte Costituzionale ha espresso parere negativo senza nemmeno entrare nel merito della questione. Ha riscontrato un vizio di forma e ha conseguentemente dichiarato inammissibili le istanze.

Scritta così, istintivamente verrebbe da pensare che la Corte Costituzionale si sia attaccata a un cavillo per impedire, di sua volontà, l’effettuazione dei due ulteriori referendum. Ma non è così. Il vizio di forma è stato riscontrato perché tutte le Regioni che hanno sollevato la questione del conflitto di attribuzione, con la sola esclusione del Veneto, erano inadempienti su una questione di non poco conto. L’articolo 75 della Costituzione riserva l’iniziativa referendaria ad almeno cinque Consigli Regionali. Ma i Consigli di Basilicata, Liguria, Puglia, Marche e Sardegna non si sono espressi.

Secondo alcuni analisti, se le Regioni avessero effettuato tutti gli adempimenti necessari (e avessero rispettato la forma, ovvero avessero portato in aula e messo in votazione le delibere) la Corte Costituzionale avrebbe ammesso i ricorsi.

Si tratta di un errore di valutazione piuttosto grave che, a mio parere, complicherà il lavoro che dovremo svolgere per portare questo referendum a buon fine.

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